GIPSOFILA
Gypsophila paniculata
Il genere Gypsophila appartiene alla famiglia delle Cariofillacee,(Garofano). La Gypsophila paniculata, anche chiamata volgarmente “nebbiolina, è la specie più comunemente coltivata, proveniente dall’Unione Sovietica (il nome del genere significa che ama il calcare).Ha un apparato radicale fascicolato da cui diparte uno stelo con grossi nodi con foglie di colore grigio-verde,.i fiori numerosi,piccoli, sono riuniti in infiorescenza dall’aspetto molto vaporoso E’ impiegata come fiore
reciso per l’abbellimento delle composizioni (anche allo stato secco). Le principali cultivar di gipsofila in commercio sono “Bristol Fairy” (probabilmente la più adatta alla programmazione della fioritura),”Perfecta”, “Million Star”, “Arbel”, “Dana”, “Florepleno”, “New Hope”, “Yukinko”, a fiore bianco. Abbastanza rara la cultivar “Flamingo”, a fiore rosa.
Propagazione
E’ possibile usare il seme, ma il metodo più comune è la talea. Sono usate piante madri coltivate in condizione di giorno corto per non indurle alla fioritura. Le talee si radicano in bancali riscaldati e nebulizzati. In circa venti giorni avviene la radicazione.
Esigenze
La Gipsofila necessita, per indurre la fioritura, di almeno 12°C e 14 ore di luce(è molto importante utilizzare luci artificiali nei periodi di giorno corto). La sensibilità al fotoperiodo si manifesta solo dopo aver raggiunto uno stadio vegetativo caratterizzato dalla presenza di una ventina di foglie, ed è subordinata al rispetto delle temperature minime. Predilige terreni (preferibilmente con pH 6,5-7,5) che possono essere anche calcarei e non troppo ricchi di sostanza organica, l’importante è che siano ben drenati e ventilati e con un basso livello di salinità, non superiore a 800-1000 mg/l. Il terreno viene sterilizzato con Vapam o con bromuro di metile, perchè la gipsofila è sensibile ai marciumi radicali. Si aggiungono il perfosfato di minerale e la sostanza organica in dosi limitate perchè è una pianta con basse esigenze nutrizionali. Nell’Italia Meridionale (e quindi in tutti i luoghi a clima mite) viene spesso coltivata in piena aria.
Durata della coltivazione
La durata della coltivazione è generalmente di 2 anni, anche se in alcuni casi può raggiungere i 3 anni. Nella coltivazione forzata la durata è 1 anno, poichè al secondo anno riprende male.
Caratteristiche impianto
La coltivazione può essere effettuata sia in piena aria, con investimenti ridotti o addirittura ridottissimi, che in serra anche riscaldata per fioriture programmate.
Nelle condizioni dell’Italia meridionale l’epoca di impianto è:
a) coltivazione in piena aria: marzo-aprile-maggio per la raccolta estiva a giugno-luglio.
b) coltivazione in piena aria: luglio, per la raccolta autunnale ad ottobre.
c) coltivazione in serra: gennaio-febbraio per raccolta primaverile forzata in serra aprile-maggio, luglio per la raccolta in piena aria ad ottobre, agosto-settembre per la raccolta primaverile anticipata a gennaio-febbraio e poi aprile-maggio.
Poichè la fioritura avviene a flussi (cioè una pianta porta a fioritura tutti gli steli contemporaneamente) è consigliabile effettuare l’operazione di trapianto in modo scalare, evitando la concentrazione della raccolta in un periodo troppo ristretto. La fioritura, comunque, segue di 70-120 giorni il trapianto (solo in funzione delle condizioni termiche e fotoperiodiche).
Preparazione del terreno
Effettuare una lavorazione profonda del terreno (minimo 40 cm)
- concimazione di fondo:
realizzare i seguenti apporti: - 200 gr/mq di superfosfato di calcio
- 150 gr/mq di solfato di potassio
- 50 gr/mq di magnesio
Non bisogna apportare sostanza organica a meno che la coltivazione precedente sia stata di Garofano.
Una volta fatta la concimazione di fondo, si lavorerà il terreno in modo da mescolare bene il concima al terreno.
Seguirà poi un’abbondante irrigazione per favorire la trasformazione degli elementi.
Tecnica di coltivazione
Dopo il trapianto le piantine andranno irrigate con regolarità, evitando eccessi che possono determinare l’insorgere di marciumi radicali. Solitamente, nelle regioni meridionali, si utilizzano volumi di adacquamento di 15-20 lt/mq, soprattutto nei terreni sciolti sui quali gli interventi devono ripetersi piuttosto spesso.
Il Sistema di irrigazione consiste in due linee di gocciolatoi sistemate a 50 cm di distanza l’una dall’altra, e, la distanza dei gocciolatoi, sarà di 40 cm l’uno dall’altro.
Illuminazione artificiale
Si comincia ad illuminare dalla metà di settembre, accendendo le luci al calar del sole. La necessità di luce sarà soddisfatta, collocando lampadine da 100 W a 2 metri di altezza e distanziate (sulla stessa fila) di 2 metri l’una dall’altra, mentre la distanza che ci deve essere tra una fila di luci e l’altra è di 2,5 metri.
Trattamento di Acido Giberellico
Al fine di ottenere una migliore crescita vegetativa, dopo il trapianto, una volta cominciato il periodo di illuminazione artificiale, è consigliabile l’uso dell’Acido Giberellico, al fine di ottenere una pianta ben formata e resistente.
Si effettuerà un trattamento con Acido Giberellico 9% (Berelex), ogni 8 giorni.
La Gipsofila si avvantaggia di interventi di fertirrigazione, così da evitare somministrazioni massicce di concimi, che possono determinare dei problemi di salinità del substrato esplorato dalle radici. Approssimativamente si interverrà quindicinalmente, nel periodo primaverile-estivo, con concimi complessi con rapporto N:P:K 1:0,5:1,3, non trascurando l’apporto di Calcio e Magnesio qualora questi elementi non siano sufficientemente rappresentati sul complesso di scambio.
La densità di impianto è di 2 piante per mq lordo. Densità maggiori (fino a 3 piante per mq lordo) determinando spesso problemi in alcune fasi del raccolto poichè i rami si intrecciano.
Dopo la raccolta estiva può essere effettuata una potatura verde. In 15-20 giorni si formano così i nuovi getti in grado di assicurare una fioritura autunnale (settembre). Si lascia quindi svernare la pianta fino alla primavera successiva.
La Gipsofila risulta suscettibile sia all’azione di crittogame che di parassiti animali. Le principali avversità di natura parassitaria sono rappresentate da:
- Marciume basale (Fusarium sp.). In questi ultimi anni nelle coltivazioni di Gypsophila si è andata diffondendo, con preoccupante rapidità, una malattia che si manifesta sotto forma di marciume al colletto. L’alterazione, che generalmente compare a fine inverno, colpisce le piantine nella fase giovanile, dopo il trapianto, causando notevoli danni alla vegetazione; sulle vecchie colture, assume un andamento più lento e meno grave. La malattia è favorita dal perdurare degli eccessi di umidità nel terreno. Le piante colpite, specie se di grosse dimensioni, mostrano dapprima un appassimento ed ingiallimento di uno o più germogli e successivamente subiscono un progressivo estendersi dei sintomi all’intera pianta, che così muore. Il fenomeno è più rapido quando l’attacco si verifica su piante giovani. Nelle piante infette, sezionando la zona del colletto è possibile osservare un marciume molle color bruno-rossastro, che si estende verso le radici. In tali zone, nei primi stadi dell’infezione, è facilmente distinguibile una linea di demarcazione ben netta tra la parte invasa dal fungo e quella ancora sana. Il fungo in condizioni ottimali di temperatura (18-25°C) e in presenza di ristagni di umidità nel terreno, penetra nella pianta attraverso ferite o calli di cicatrizzazione, diffondendosi lungo i vasi legnosi e determinando in breve i descritti deperimenti.
- Marciume basale (Phytophtora nicotianae var. parasitica). Si manifesta con un marciume acquoso del colletto e deperimento dell’intera pianta. Fin dal primo mese dopo il trapianto, è possibile registrare in campo, su culture commerciali, perdite consistenti. La malattia assume carattere grave durante la parte più calda dell’anno. Il fungo si sviluppa a temperature comprese tra 25 e 32°C aggiungendo accrescimenti rapidi a 32°C. In condizioni di serra, le piante infette con tale agente patogeno cominciano a deperire dopo appena 4 giorni. Sulla pianta i sintomi della malattia sviluppano in 2-3 giorni; alcune foglie cominciano a diventare clorotiche, mentre altre deperiscono e disseccano con piccole modificazioni di colore. I tessuti dello stelo infetto all’altezza della corona si mostrano inizialmente bianchi, ma non appena l’infezione si diffonde, assumono una colorazione marrone chiara. Riguardo gli interventi, degne di nota sono certamente alcune precauzioni di carattere agronomico quali: la razionalizzazione delle irrigazioni utilizzando l’impianto a goccia, l’uso di piantine sale (preferibilmente ottenute per micropropagazione in vitro), lo sgrondo e il drenaggio delle acque nel terreno per evitare i ristagni di umidità.
Phytophtora cactorum, questa malatia è stata inizialmente osservata su coltivazioni di gypsophila paniculata nel Massachussets. I sintomi, sia in coltivazione in pien’aria, sia in ambiente protetto, iniziano con la comparsa di macchie di colore bluastro su radici, corona e steli che evolvono in marciumi del colletto e delle radici portando a morte la pianta. In Italia non si sono avute finora segnalazioni di tale malattia.
- Infezioni al colletto e parte epigea. Altre crittogame che attaccano le piante di Gypsophila causando danni al colletto ed agli steli sono: Alternaria dianthi; Rhizoctonia solani; Phytum debarianum. Questi arrecano gravi danni soprattutto alle piante giovani. Da questi agenti di malattia occorre difendersi sia adottando opportune tecniche colturali (drenaggio, adeguato uso dell’acqua) sia ricorrendo all’uso di appropriati mezzi chimici, Notevoli danni alla vegetazione e conseguenti perdite di produzione sono causate da alcune crittogame che colpiscono la parte epigea delle piante. Tali crittogame sono: Peronospora jaczewskii, Puccinia arenarie, Uromices cariophillinus.
Tra le malattie fungine che prediligono l’apparato fogliare sono infine da segnalare la ruggine, l’oidio (abbastanza frequentemente ma non dannosissimo) e l’alternaria che normalmente vengono tenute tuttavia sotto controllo dai normali trattamenti preventivi.
I fitofagi di più comune rinvenimento sono probabilmente rappresentati dai ragnetti rossi, che specie in estate richiedono l’intervento con acaricidi specifici. Tra gli insetti dannosi vanno ricordati i tripidi e la minatrice fogliare. La “difesa integrata” della coltura di Gypsophila dai parassiti animali, è possibile sfruttando l’azione di entomofagi (il Diglyphu isaea per la minatrice ed il phitoseiulus persimilis, in quanto predatore specifico per il ragno rosso) come pure limitando l’uso di insetticidi che oltre ad avere un’azione deprimente verso questi ausiliari, incidono notevolmente sui costi.
Trattamento fito-sanitario: RHIZOCTONIA
Il primo trattamento da fare alla coltivazione. Si effettua dopo 3 giorni dal trapianto come preventivo per la Rhizoctonia. Subito dopo aver fatto il trattamento, prima che il prodotto si secchi, lavare bene le piante per evitare che si macchino.
Produzione, raccolto e confezionamento
La coltivazione della Gypsophila assicura produzioni dell’ordine di 3-4 kg /pianta in un anno. La pianta presenta dei flussi di fioritura molto accentuati in estate, quando la raccolta si esaurisce in pochi giorni, meno in inverno (coltura programmata) quando un flusso di fioritura si può esaurire anche in più di un mese. La raccolta va effettuata quando il 50% dei fiori sono aperti nei periodi più freddi e quando il 30% dei fiori sono aperti nei periodi caldi. I rami vanno quindi subito posti in acqua in luogo fresco. Il prodotto si vende a peso e viene quindi confezionato in mazzetti da mezzo chilo, riuniti insieme in un pacco da 5 o 10 mazzi (2,5-5 kg).
Si definisce “extra” il mazzo alto 70-80 cm , “prima” quello da 60-70 cm e “seconda” quello di 40-60 cm.
Gli steli di gipsofila si conservano male in acqua . A livello del consumatore è utile porli in una soluzione composta da AgNO3, Al2 (SO4)3 e saccarosio anche se la durata viene di poco migliorata, perchè nell’acqua si sviluppano molti microorganismi che occludono i vasi dello stelo.
E’ possibile essiccare gli steli di gipsofila mediante immersione in una soluzione contenente glicerina e acqua tiepida nel rapporto di 1 a 2 entro un contenitore trasparente su cui si fa una tacca per potere, quando si abbassa il livello, aggiungere altra acqua. Occorre lasciare le fronde per 15 giorni nella soluzione fino a che trasudino glicerina e abbiano una consistenza cuoiosa.